LA NORMATIVA PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO
BIOLOGICO
Il Decreto Legislativo 626/1994 e successive modificazioni ed
integrazioni
La protezione da agenti biologici è regolata dal titolo VIII del D.Lgs.
626/1994.
Il campo di applicazione della specifica norma comprende tutte le attività
che possono comportare rischio di esposizione ad agenti biologici, quindi
sia le attività con uso deliberato di microrganismi (per esempio i
laboratori di microbiologia) sia quelle con rischio potenziale di
esposizione.
È quest’ultimo il caso delle strutture sanitarie ambulatoriali quali quelle
dell’INAIL, dove sia le funzioni di cura dei soggetti infortunati sia lo
smaltimento dei rifiuti possono comportare un’esposizione ad agenti
biologici.
La valutazione del rischio va effettuata in entrambi casi, sulla base di
quanto stabilito dall’articolo 78 del citato decreto.
La norma, inoltre, sancisce altri obblighi importanti da parte del Datore di
Lavoro, del Servizio di Prevenzione e Protezione, del medico competente, del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ma anche da parte del
lavoratore stesso che viene direttamente responsabilizzato nella gestione
della sua salute.
Un obbligo importante è quello dell’informazione/formazione. In particolare,
la norma prevede che il datore di lavoro fornisca ai lavoratori, sulla base
delle conoscenze disponibili, informazioni ed istruzioni per quanto riguarda
i rischi per la salute, le precauzioni da prendere per evitare
l’esposizione, le misure igieniche da osservare, le funzioni e le modalità
d’uso dei dispositivi di protezione individuale, il modo di prevenire il
verificarsi di infortunio e le misure da adottare per ridurre al minimo le
conseguenze.
Inoltre, i lavoratori addetti alle attività per le quali la valutazione dei
rischi ha evidenziato un rischio per la salute sono sottoposti a
sorveglianza sanitaria alla quale è stata dedicata, nel presente lavoro, una
trattazione specifica.
È prevista anche l’adozione, da parte del Datore di Lavoro, su conforme
parere del medico competente, di misure protettive per quei lavoratori per i
quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali
di protezione, tra le quali:
a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per i lavoratori che non sono
già immuni, da somministrare a cura del medico competente;
b) l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure
dell’articolo 8 del D.Lgs. 277/1991.
A differenza di quanto sancito in caso di attività comportanti uso di
microrganismi particolari (gruppi 3 e 4) il decreto non prevede, per le
strutture sanitarie ambulatoriali delle quali si sta parlando, l’adozione
del Registro degli esposti. Tuttavia, stando a quanto riportato nelle linee
guida per l’applicazione del decreto a cura del Coordinamento delle Regioni
e delle Province autonome, “occorre stimolare anche nelle altre attività
sanitarie l’istituzione di sistemi di registrazione di tutti gli episodi di
contaminazione con agenti biologici o con materiali biologici potenzialmente
infettanti compresi i casi di puntura con aghi o taglio con bisturi, nonché
qualsiasi, anche modesto, imbrattamento con liquidi biologici”.
È prevista, infine, l’istituzione, presso l’ISPESL, di un registro dei casi
di malattia ovvero di decesso dovuti all’esposizione ad agenti biologici.
Pertanto, il medico che diagnostichi queste situazioni deve darne
comunicazione all’ISPESL corredando l’informazione con la relativa
documentazione clinica.
Normativa sulle vaccinazioni
La legge 27 maggio 1991, n. 165 istituisce l’obbligatorietà della
vaccinazione per l’epatite B per tutti i nuovi nati nel primo anno di vita
e, limitatamente ai dodici anni successivi alla data di entrata in vigore
della legge, per tutti i soggetti entro il dodicesimo anno di età.
La stessa legge, all’articolo 3, prevede: “permane invariato il diritto alla
vaccinazione contro l’epatite virale B dei soggetti appartenenti alle
categorie a rischio, individuate con Decreto Ministeriale della sanità del 4
ottobre 1991”.
Tra le categorie a rischio individuate nel decreto, per le quali la
vaccinazione per l’epatite B deve essere offerta gratuitamente, interessano
alla nostra trattazione le seguenti:
- personale sanitario di nuova assunzione nel Servizio nazionale e personale
del Servizio nazionale già impegnato in attività a maggior rischio di
contagio e segnatamente che lavori in reparti di emodialisi, rianimazione,
oncologia, chirurgia generale e specialistica, ostetricia e ginecologia,
malattie infettive, ematologia, laboratori di analisi, centri trasfusionali,
sale operatorie, studi dentistici, medicina legale e sale autoptiche, pronto
soccorso;
- soggetti che svolgono attività di lavoro, studio e volontariato nel
settore della sanità.
Per quanto riguarda la modalità di somministrazione, il decreto prevede uno
schema di vaccinazione, per via intramuscolare, in tre dosi, a 0, 1 e 6
mesi.
Allo scopo di assicurare uniformità nella strategia della vaccinazione per
l’epatite B su tutto il territorio italiano, il Decreto Ministeriale del 20
novembre 2000 stabilisce un protocollo di calendari di vaccinazione e regimi
di trattamento post-esposizione.
Il comma 4 del protocollo, che si occupa del personale sanitario, stabilisce
alcuni aspetti sostanziali che sottolineiamo:
“è indicata la valutazione della risposta anticorpale a distanza di almeno 1
mese dal completamento del ciclo primario della vaccinazione contro
l’epatite B.
È parimenti indicato il controllo anticorpale al momento dell’inizio
dell’attività di operatore sanitario per coloro che avessero ricevuto
precedentemente un ciclo primario di vaccinazione.
Nei soggetti che hanno completato il ciclo primario di vaccinazione contro
l’epatite virale B e che presentino positività per anti-HBs al controllo
anticorpale, non è necessaria alcuna dose di richiamo né ulteriori controlli
dello stato immunitario.
Nei soggetti che hanno completato il ciclo primario di vaccinazione contro
l’epatite virale B e che vengono riscontrati negativi al controllo
anticorpale, va somministrata una quarta dose di vaccino contro l’epatite
virale B; con ulteriore valutazione anticorpale a distanza di almeno un mese
da questa.
Nei soggetti non vaccinati, qualora si dovesse fare ricorso a profilassi
postesposizione, oltre alla somministrazione delle immunoglobuline, è
indicata l’esecuzione di un ciclo completo di vaccinazione contro l’epatite
virale B secondo le modalità descritte nel comma 6, e la determinazione
dell’anti-HBs a distanza di almeno 1 mese dal completamento del ciclo
primario (3ª dose).
Nei soggetti vaccinati e riscontrati antiHBs-negativi (non responders), la
profilassi post-esposizione va effettuata mediante somministrazione di
immunoglobuline specifiche.
Il comma 6 si occupa del trattamento post-esposizione e stabilisce:
Per i soggetti non vaccinati si segue lo schema accelerato di
immunizzazione contro l’epatite virale B con somministrazione delle dosi di
vaccino ai tempi 0,1,2 mesi e successiva somministrazione di una dose di
rinforzo a distanza di 6-12 mesi dalla terza. Contemporaneamente alla
somministrazione della prima dose di vaccino è opportuna la somministrazione
di immunoglobuline specifiche, in sede corporea diversa da quella utilizzata
per l’inoculazione del vaccino contro l’epatite virale B.
Le immunoglobuline specifiche vanno somministrate entro il 7° giorno ed il
ciclo di vaccinazione per il trattamento post-esposizione va iniziato entro
il 14° giorno dal contatto potenzialmente infettante.
Per i soggetti non vaccinati in precedenza, di cui non si conosca la
risposta anticorpale al ciclo di immunizzazione primaria, è indicata la
somministrazione di immunoglobuline specifiche insieme ad una dose di
vaccino e l’esecuzione di un test per la ricerca degli anticorpi anti-HBs a
distanza di almeno 1 mese.
Nella circolare n. 19 del 30 novembre 2000 del Ministero della Sanità,
avente per oggetto “Protocollo per l’esecuzione della vaccinazione contro
l’epatite virale B” (D.M. 20 novembre 2000), sempre in riferimento al
personale sanitario, viene affrontata la questione della valutazione della
risposta anticorpale.
In particolare si afferma:
Negli operatori sanitari che abbiano contatti con pazienti o con
materiale ematico ed altri fluidi biologici, e che siano esposti
continuamente al rischio di lesioni con aghi o strumenti taglienti, è
opportuna l’esecuzione di un test, anche solamente qualitativo, per la
valutazione della risposta anticorpale a distanza di uno-due mesi
dall’ultima dose del ciclo vaccinale di base
…anche a fini medico legali e di valutazione dell’idoneità lavorativa
specifica, è opportuna la sua esecuzione nelle persone, vaccinate nel
passato, al momento dell’inizio dell’attività come operatore sanitario.
Qualunque sia il tempo trascorso dal completamento del ciclo primario di
vaccinazione, in caso di positività del test per la ricerca degli anticorpi
anti-HBs, non sono necessarie dosi di richiamo della vaccinazione contro
l’epatite virale B né ulteriori controlli dello stato immunitario.
In caso di negatività del test per la ricerca degli anti-HBs, negli
operatori sanitari, è indicata la somministrazione di una quarta dose di
vaccino contro l’epatite virale B, con ulteriore valutazione del titolo
anticorpale a distanza di uno-due mesi.
In caso di persistenza di negatività del test, non sono indicate ulteriori
somministrazioni di vaccino.
È consigliabile, in questi casi, procedere alla ricerca della presenza dell’HbsAg.
Il soggetto che non ha risposto alla vaccinazione deve essere considerato
suscettibile all’infezione da virus dell’epatite B ed essere informato circa
la necessità, in caso di esposizione accidentale al virus, di profilassi
post-esposizione, basata sulla somministrazione di immunoglobuline
specifiche.
Normativa per la protezione dal contagio da HIV
“Le linee guida per il controllo dell’infezione da HIV” sono state
pubblicate il 6 settembre 1989 dalla Commissione Nazionale AIDS del
Ministero della sanità; le “Norme di protezione dal contagio professionale
da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private”, sono
state emanate con il D. M. del 28 settembre 1990.
Le linee guida e le indicazioni dei decreti sono confluite nelle note
“Precauzioni universali” già elaborate dal Center for Disease Control (CDC)
di Atlanta.
Tali precauzioni universali, indirizzate a tutti gli operatori sanitari
devono essere applicate di routine quando si eseguono procedure che
prevedano un possibile contatto accidentale con sangue o altro materiale
biologico e quando si manipolano presidi, strumenti o attrezzature che
possano provocare un contatto accidentale con materiale ematico o biologico.
Tutti i liquidi biologici, pertanto, da questo punto di vista, devono essere
considerati potenzialmente infetti.
Le precauzioni prevedono:
- il lavaggio delle mani con antisettici se si verifica accidentalmente il
contatto con sangue o altri liquidi biologici;
- l’impiego di mezzi di barriera appropriati quali guanti, ma anche
mascherine e occhiali protettivi in caso di esecuzione di procedure che
possono dar luogo a schizzi, con possibilità di contaminare le mucose della
bocca, del naso e degli occhi;
- utilizzo di corrette procedure di disinfezione, sterilizzazione e di
smaltimento dei rifiuti.
Normativa sui dispositivi di protezione individuale (DPI)
A livello europeo sono state pubblicate due direttive specifiche recepite in
Italia con altrettanti decreti legislativi.
Mentre la prima è rivolta ai produttori, la seconda (89/656/CEE) è stata
recepita nel titolo IV del D.Lgs. 626/1994 ed obbliga il datore di lavoro a
fornire al lavoratore attrezzature e dispositivi di protezione appropriati
ai tipi di rischio ai quali è esposto.
I guanti devono essere sempre usati non solo nelle procedure che prevedono
un contatto con sangue o altri liquidi biologici, o contatto con mucose o
cute con lesioni di continuo ma anche in quelle operazioni, quali la pulizia
delle attrezzature e dei presidi, la raccolta di rifiuti e di biancheria
sporca.
Quelli utilizzati per la protezione dal contagio da agenti biologici sono
prevalentemente in lattice, anche se la protezione non è sufficiente in caso
di punture e di tagli. Devono essere provvisti di marchio CE ed essere
conformi alla norma tecnica europea EN374.
I camici devono assicurare un’adeguata protezione anche se non esiste una
normativa tecnica comunitaria al riguardo.
Gli occhiali, da usarsi, come detto in precedenza, per particolari manovre a
rischio, devono presentare, oltre alla marcatura CE, anche l’attestato di
conformità ai requisiti EN166 “per la protezione da gocce e spruzzi di
liquidi”).
Normativa per la gestione dei rifiuti sanitari
La gestione dei rifiuti sanitari è disciplinata dal Decreto 26 giugno 2000
n. 219 “Regolamento recante la disciplina per la gestione dei rifiuti
sanitari, ai sensi dell’articolo 45 del D.Lgs 5 febbraio 1997, n. 22”.
Secondo tale normativa i rifiuti sanitari vengono classificati in:
1. Rifiuti sanitari non pericolosi
2. Rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani
3. Rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo
4. Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo
5. Rifiuti sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento
Tenuto conto della tematica di cui stiamo trattando, e cioè del rischio
biologico negli ambulatori dell’INAIL ci limitiamo ad indicare le principali
procedure per la gestione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio
infettivo.
Per questo tipo di rifiuti lo stoccaggio, la raccolta ed il trasporto devono
essere effettuati utilizzando apposito imballaggio a perdere recante la
scritta “rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo” e il simbolo del
rischio biologico. Se si tratta di materiale che può causare tagli o punture
è necessario fare ricorso ad un apposito imballaggio rigido recante la
scritta “rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo taglienti e
pungenti”.
Tali operazioni richiedono un registro di carico e scarico a firma del
medico responsabile.
Il deposito temporaneo deve essere effettuato in condizioni tali da non
determinare alterazioni che possano comportare un rischio per la salute
(luogo ampio e asciutto, temperatura bassa, integrità degli involucri etc.)
e può avere una durata massima di 5 giorni, prolungabile a 30 per
quantitativi non superiori a 200 litri.
Vaccinazione antitubercolare
Si ritiene opportuno focalizzare l’attenzione anche sull’obbligo della
vaccinazione antitubercolare secondo i criteri e le modalità delle recenti
normative che si riportano integralmente nell’allegato 6.
Il D.P.R. 7 novembre 2001 n. 465 “Regolamento che stabilisce le condizioni
nelle quali è obbligatoria la vaccinazione tubercolare, a norma
dell’articolo 93, comma 2, della Legge 23 dicembre 2000 n. 388”, pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n. 7 del 9 gennaio 2002, definisce quali soggetti
sottoporre a vaccinazione antitubercolare obbligatoria abrogando nel
contempo l’obbligo vaccinale per le categorie a rischio definite dalla legge
14 dicembre 1970, n. 1088.
La circolare n. 6, 11 marzo 2002, della Direzione Generale Sanità e
Politiche Sociali della Regione Emilia-Romagna, ribadisce tali indirizzi,
fornisce chiarimenti sull’interpretazione di alcuni punti critici,
sottolinea come nei soggetti professionalmente esposti la vaccinazione sia
indicata come misura di contenimento estremo in situazioni specifiche,
evidenziate nel documento di valutazione del rischio di ciascuna struttura
sanitaria.
Il predetto Regolamento indica i casi di vaccinazione antitubercolare
obbligatoria:
- neonati o bambini di età inferiore a 5 anni, con test tubercolinico
negativo;
- conviventi o aventi contatti stretti con persone affette da tubercolosi in
fase contagiosa, qualora persista il rischio di contagio;
- personale sanitario, studenti in medicina, allievi infermieri e chiunque,
a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo, operi in ambienti
sanitari ad alto rischio e non possa in caso di cuticonversione, essere
sottoposto a terapia preventiva, perché presenta controindicazioni cliniche
all’uso di farmaci specifici.
Questo ultimo personale deve essere controllato a distanza di tre mesi
dall’inoculazione del vaccino.
Il medesimo Regolamento dispone circa le modalità per l’accertamento
tubercolinico e il carattere pregiudiziale dell’accertamento stesso.
Infine, viene abrogato il Regolamento per l’applicazione dell’art. 10 della
legge n. 1088/1970, sulla vaccinazione antitubercolare obbligatoria.
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