Sentenze Sicurezza sul Lavoro

Infortunio sul lavoro: limiti alla responsabilità del datore

 

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In caso di infortunio professionale del lavoratore causato dalla condotta colposa dello stesso, in che limiti si configura la responsabilità del datore di lavoro? 

Prima di delineare i limiti della responsabilità del datore di lavoro per infortunio del lavoratore, occorre precisare da quali obblighi sorga tale responsabilità: il principio generale dell'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro, infatti, la tutela delle condizioni di lavoro, obbligandolo a porre in essere tutte le misure idonee, secondo l'esperienza, la tecnica e la particolarità del lavoro, a prevenire situazioni di danno per la salute fisica e la personalità del lavoratore alla luce della mutevole realtà produttiva. Tale principio generale ha ritrovato la sua specificazione nel D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626.
La violazione delle suddette norme, in base a cui il datore è obbligato a predisporre le misure di sicurezza sul luogo di lavoro, che cagiona un infortunio professionale del lavoratore, configura la responsabilità del datore stesso, che sussiste, pertanto, ogniqualvolta le prestazioni lavorative dell'infortunato siano legate da un nesso eziologico per il quale l'evento dannoso dipenda dal rischio inerente ad un atto intrinseco rispetto alle prestazioni medesime (si vedano, ad esempio Cass. 19 febbraio 1999, n. 1331, in Mass. giust. civ., 1999, 359 e Cass. 7 marzo 1998, n. 2572, in Mass. giust. civ., 1998, 542).
Anche il lavoratore, però, ha l'obbligo di mantenere una condotta diligente tale da garantire la sicurezza: dispone, infatti, l'art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 626/1994, che "il lavoratore è obbligato a prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella di altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni od omissioni, conformemente alla sua formulazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro". Pertanto, alla responsabilità del datore di lavoro obbligato a predisporre le misure di sicurezza si affianca un obbligo del lavoratore di collaborazione, e in questo senso si può affermare che emerge un "modello di gestione partecipata alla sicurezza" (Grandi, Pera, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova 2001, vd. commento art. 5, D.Lgs. n. 626/1994).
Alla tutela dei lavoratori nei confronti dei rischi inerenti all'ambiente di lavoro è, inoltre, finalizzato specificamente il sistema delle assicurazioni sociali obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, gestito dall'Inail. Il T.U. n. 1124/1965 prevede, infatti, all'art. 2, comma 1, che "l'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni".
La legge stabilisce i casi in cui l'assicurazione Inail copre l'infortunio sul lavoro, definito come "l'evento avvenuto per causa violenta e in occasione di lavoro, da cui derivi la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni" (art. 2, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, T.U. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).
Posto che il costo dell'assicurazione grava sul datore di lavoro e lo esonera dalla responsabilità civile per gli infortuni professionali, (art. 10, T.U. n. 1124/1965), è opportuno chiarire in che termini concorra la condotta del lavoratore a determinare i limiti della responsabilità datoriale e dell'indennizzabilità dell'infortunio.
Infatti, la responsabilità datoriale (e conseguente l'indennizzabilità da parte dell'Inail) è in primo luogo esclusa in caso di dolo del lavoratore, ex art. 11, comma 3, T.U. n. 1124/1965, in applicazione di un principio generale dettato dall'art. 1900 c.c., per il quale l'assicurazione non risponde dei sinistri cagionati dal dolo del contraente.
Il dolo del lavoratore, inteso come disegno criminoso deliberatamente assunto dal soggetto interessato per trarre in inganno i terzi, è da solo sufficiente a produrre l'evento dannoso, fungendo da causa efficiente di questo. Il dolo spezza, infatti, qualsiasi legame eziologico fra lavoro ed evento e si pone come causa esclusiva di quest'ultimo.
Al contrario, per quanto riguarda la colpa del lavoratore è stato invece specificato che la negligenza, l'imprudenza o l'imperizia rientrano nella nozione di rischio assicurato dall'Inail, quando si estrinsecano in un atto determinato da circostanze anche straordinarie nell'esecuzione e nell'ambito del lavoro affidato al lavoratore assicurato.

Una seconda e diversa ipotesi di esclusione della responsabilità del datore è stata inoltre ritenuta sussistente dalla giurisprudenza in presenza di "rischio elettivo", che si verifica quando il comportamento del dipendente presenti "i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed eccezionalità, da valutarsi anche in relazione al livello di esperienza dello stesso dipendente", (Cass. 17 marzo 1999, n, 2432, in Riv. it. dir. lav., 1999, II, 766), o quando sia stato posto in essere "un comportamento abnorme, volontario ed arbitrario da parte del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività, secondo l'apprezzamento compiuto a riguardo dal giudice di merito" (Cass. 4 dicembre 2001, n. 15312, in Lav. giur., 2002, 5, 468), o comunque quando "il rischio generato da un'attività che non abbia rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa o che esorbiti in modo irrazionale dai limiti di essa" (si vedano Cass. 28 ottobre 2003, n. 16216, in Guida al Lavoro, 2003, 48, 44, che ha stabilito non sussistere rischio elettivo nel caso in cui il lavoratore abbia subito un infortunio nel tentativo di soccorrere il titolare dell'impresa appaltatrice di lavoro edili, e Cass. 30 maggio 2003, n. 23841, in Guida al Lavoro, 2003, 46, 89, che non ha riconosciuto la sussistenza del rischio elettivo nella condotta del dipendente di una pasticceria che, operando sull'impastatrice senza protezione, ha perso un dito della mano sinistra, poiché il datore era conoscenza del mancato rispetto delle norme di sicurezza). Anche la giurisprudenza di merito ha precisato che "l'omessa utilizzazione dello strumento di sicurezza è comportamento del dipendente che presenta i caratteri dell'esorbitanza, atipicità ed eccezionalità rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'infortunio occorsogli, con conseguente insussistenza di responsabilità in capo al datore di lavoro" (Corte d'Appello di Milano, 31 gennaio 2003, in Lav. giur., 2003, 8, 786).
E pacifico che, nei casi in cui non ricorre rischio elettivo, il lavoratore pone in essere un rischio rapportabile allo svolgimento del suo lavoro e, pertanto, indennizzabile da parte dell'Inail o, in caso di mancata copertura assicurativa, dal datore di lavoro.
In conclusione, il datore di lavoro non è responsabile per l'infortunio cagionato da condotta dolosa del lavoratore o quando si verifichi l'ipotesi di cd. rischio elettivo, nel senso precisato dalla citata giurisprudenza. Al di fuori di questi casi, e quindi anche nell'ipotesi di negligente condotta del lavoratore infortunato, si deve ritenere sussistente la responsabilità del datore di lavoro.

febbraio 2004

risposta a cura di Salvatore Trifirò, Giacinto Favalli e Francesco Rotondi

Fonte: Diritto & Pratica del lavoro - Settimanale di amministrazione e gestione del personale - Ipsoa Editore

da: Ipsoa Editore

 

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